Tra la fine del Settecento e la prima metà del Novecento visse un piccolo numero di ricercatori, di scienziati, di medici, che si dedicarono a sperimentare metodi per la conservazione indefinita di tessuti animali, e anche di interi corpi umani, tramite la loro cosiddetta pietrificazione . Un'attività che il gusto del macabro del diciannovesimo secolo tollerava ancora, ma che oggi sarebbe difficile praticare per ragioni di “correttezza politica”.Si intende comunemente (ma impropriamente) per "pietrificazione" di tessuti animali la loro trasformazione a durezza lapidea, ottenuta grazie a vari metodi, ma soprattutto per impregnazione con sali minerali.Essa è dunque da distinguere dall'imbalsamazione, che ha il solo scopo di conservare il corpo senza decomposizione, di solito per periodi più brevi, grazie all'utilizzo di sostanze fissative o antisettiche. Nemmeno essa è da confondere con la conservazione dei reperti museali sotto liquido, con la tassidermia (pelli di animali impagliate, con ricostruzione di uno scheletro interno di legno e metallo). La mummificazione è invece un trattamento più complesso, che solitamente comprende (se artificiale) eviscerazione e disidratazione dei corpi, e che può avvenire talvolta anche grazie a processi naturali in particolari condizioni ambientali.La tecnica che più si avvicina alla pietrificazione è forse la cosiddetta preparazione a secco, nella quale si isolano parti anatomiche, di solito ossa, muscoli e cartilagini, e le si lasciano disidratare fino a che esse assumono consistenza coriacea.Da quando iniziarono gli studi di anatomia umana, tra il Cinque e il Seicento, furono sviluppate molte tecniche per illustrare gli organi umani senza dovere fare ricorso ogni volta a una autopsia : tavole anatomiche, modelli iperrealistici di cera – alcuni dei quali raggiungevano i vertici dell'arte - preparazioni sotto spirito e - dalla prima metà dell' 800 - preparazioni a scopo museale e didattico su organi o apparati.Queste ultime, per esempio quelle ancora visibili al Museo di Anatomia Scarpa di Pavia, comportavano procedimenti piuttosto complessi, che comprendevano l'isolamento dell'organo, il suo trattamento con sostanze conservanti, la disidratazione e a volte iniezioni in esso di materiale ceroso.
La pietrificazione si inserisce a buon titolo in questo filone. Tuttavia, essa fa in un certo senso storia a sé stante. I pietrificatori operavano solitamente al di fuori dell'ambiente accademico ufficiale. Sperimentavano senza rivelare i loro metodi, spesso cambiando tecniche e ricette, circondati da un alone di segretezza. Erano per questo oggetto di timore reverenziale da parte della popolazione, dando origine a vere e proprie leggende.Tutto ciò, insieme al mistero circa la natura chimica delle loro tecniche, ha suscitato la curiosità di chi scrive. Quanto segue è una carrellata concisa ma aggiornata su questi affascinanti temi, sulle ricerche in corso e sui risultati ottenuti o sperati.
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La pietrificazione si inserisce a buon titolo in questo filone. Tuttavia, essa fa in un certo senso storia a sé stante. I pietrificatori operavano solitamente al di fuori dell'ambiente accademico ufficiale. Sperimentavano senza rivelare i loro metodi, spesso cambiando tecniche e ricette, circondati da un alone di segretezza. Erano per questo oggetto di timore reverenziale da parte della popolazione, dando origine a vere e proprie leggende.Tutto ciò, insieme al mistero circa la natura chimica delle loro tecniche, ha suscitato la curiosità di chi scrive. Quanto segue è una carrellata concisa ma aggiornata su questi affascinanti temi, sulle ricerche in corso e sui risultati ottenuti o sperati.
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