venerdì 19 febbraio 2010

In hoc signo vinces


Quella che viene chiamata Battaglia di Ponte Milvio, dal punto in cui questa ebbe termine, si svolse nei giorni che segnavano il dies imperii (giorno della proclamazione) di Massenzio, cioè tra il 27 e il 28 ottobre 312 d.C. L’usurpatore di Roma si attardava ad uscire dall’Urbe, con una tattica incomprensibile, sembrava avere nelle intenzioni di utilizzare quel logorio, quel pungulamento, che avrebbe dovuto portare il rivale a sfiancarsi, per poi chiudersi nelle mura della città e sostenere l’assedio. Sappiamo che l’autoproclamatosi augusto, attestò le prime linee del suo esercito nella località di Saxa Rubra, la cui localizzazione è ancora oggi oggetto di discussione, in un punto teoricamente a lui favorevole, ossia collinare e impraticabile alla cavalleria nemica.
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Le schermaglie iniziarono al 12° miglio dal miliarum aureum, punto dal quale si contavano le distanze sulle strade consolari. Da qui, da dove diparte un diverticolo per una strada che unisce la Via Flaminia alla Via Cassia, sarebbe iniziato lo scontro. Questo è deducibile dai resti archeologici presenti in quella località che viene chiamata Malborghetto: in questo punto si trova infatti un enorme arco quadrifronte in opera laterizia che in antico era ricoperto di marmi pregiati e che poi nel medioevo, già riconosciuto come il luogo dei fatti, trasformato in chiesa, torre e quindi casale. Il contatto tra gli eserciti si trasformò ben presto in scontro totale vero e proprio che vide, dopo un’iniziale vittoria Massenzio, l’arretramento del suo esercito.
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Non sappiamo quanti giorni durò la battaglia, ma conosciamo bene l’importanza che questo evento ha nella storia. L’evento è segnato dal riconoscimento di Costantino nei segni di Cristo. Prima dell’ultimo scontro forse il terzo, prima del tramonto l’imperatore affermò di vedere un simbolo nel cielo in cui riconobbe le iniziali di Cristo con un’affermazione esortativa:
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"Un segno straordinario apparve in cielo. … quando il sole cominciava a declinare, egli vide con i propri occhi in cielo, più in alto del sole, il trofeo di una croce di luce sulla quale erano tracciate le parole IN HOC SIGNO VICES. Fu pervaso da grande stupore e insieme a lui il suo esercito." (Eus. VC 37-40)
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Lo stesso Messia gli sarebbe apparso in sogno “esortando Costantino ad apporre quel simbolo sugli scudi dei soldati con quei segni celesti di Dio e ad iniziare quindi la battaglia. Egli fece dunque in questo modo e ruotando e piegando su se stessa la punta superiore della lettera greca X (chi), segnò gli scudi con l’abbreviazione della parola Chrestos (Cristo)” (Lact., 16-17) e che con questo sarebbero stati Victores (un corpo militare palatino nel basso impero continuerà a portare proprio questo nome “Victores”) (Amm. XXV, 6, 3; ND VII).
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La mattina dopo il sogno rivelatore, Costantino ordinò, non solo che venisse apposto il monogramma formato dall’unione delle iniziali di Cristo in greco (X-P), ma che venisse creato il Labarum, ossia lo stendardo, il vessillo che avrebbe sostituito l’aquila romana di Giove e a cui tutti i soldati avrebbero dovuto far riferimento.
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Ancora oggi sulla via Flaminia, un borgo di Roma, distante 8 miglia dalla capitale e 4 dall’arco costantiniano, porta il nome di quell’evento: Labaro. Per questo motivo possiamo dedurre che, prima della visione e quindi dello scontro definitivo, siano avvenuti almeno altri due scontri, poiché se il primo impatto avvenne ne pressi dell’arco vittorioso di Malborghetto questo si protrasse, con un avanzamento vittorioso dell’esercito transalpino, almeno fino al luogo del Labarum, 4 miglia in direzione di Roma, dove probabilmente avvenne un secondo scontro questa volta non favorevole a Costantino, tanto che fu necessaria un’infusione di coraggio o, se vogliamo, l’intervento divino perché al momento del terzo scontro, probabilmente quello di cui parlano le fonti avvenuto a Saxa Rubra e che corrisponde all’incirca con il luogo della borgata attuale di Labaro, dove l’esercito costantiniano riuscì probabilmente a mettere in fuga, inseguendolo, quello di Massenzio che decise per il ripiegamento e l’attesa al termine della Flaminia che termina appunto a Ponte Milvio.
Qui Massenzio aveva fatto distruggere il ponte originale in calcestruzzo, e fatto costruire uno basato su passerelle di legno facilmente rimuovibili e che, secondo i suoi piani, al momento del passaggio dell’esercito avversario doveva essere abbattuto, provocando la caduta della milizia d’oltralpe nel Tevere (Naz., 28-29).
L’esercito pretoriano in fuga da Saxa Rubra sapeva di potersi rifugiare dopo il ponte. Massenzio che temeva probabilmente più le dicerie della folla che lo accusava di codardia, rimanendo rinserrato nell’Urbe; secondo una visione più clemente nei suoi riguardi, ossia che voleva risparmiare a Roma l’onta dell’assedio, anche se quello che si pensava potesse essere preso come un atto di vigliaccheria, il barricarsi all’interno, gli costò la vittoria, poiché decise di schierare il suo esercito sulla riva destra del Tevere, “in modo che l’acqua bagnasse i piedi dei soldati dell’ultima fila”, obbligando così di fatto i suoi uomini a combattere (Naz., 30-31).
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Lo scontro vide nella carica di cavalleria guidata da Costantino stesso in prima fila di fronte a tutti, l’assalto alle ali della guarnigione romana, costituite da cavalieri nordafricani; ciò ebbe un duplice catastrofico effetto: da una parte l’annientamento delle ali nemiche e conseguente scopertura dei fianchi della fanteria al centro e dall’altra l’innesco di fuga in pieno panico sul precario ponte di tavole che, non riuscendo a sostenere il peso della calca, si sfaldò provocando la caduta in acqua e il conseguente annegamento di una moltitudine di combattenti tra cui lo stesso Massenzio. Il corpo di Massenzio fu ritrovato e la sua testa fu portata in parata dalle truppe vittoriose di Costantino.
Gli unici che rimasero a combattere, difendendo insieme al loro onore, la propria vita furono i pretoriani che perirono nello stesso punto di dov’erano stati schierati.
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Costantino entrava a Roma da trionfatore, secondo le fonti il senato volle subito schierarsi dalla sua parte concedendogli il trionfo, cosa che lui fu ben lieto di accettare, ma non più secondo il programma pagano. L’imperatore unico e solo conduceva un corteo al pari dei suoi predecessori, ma questo non terminò sul clivo capitolino con la dedica delle armi e con i sacrifici a Giove Ottimo Massimo come da programma, sfilò per la città e ci piace immaginare che questa volta il corteo si concluse sotto il Colosso neroniano ormai sostituito nelle fattezze con la statua del dio sole (Helios) a cui Costantino era stato sempre legato e che ancora confuso probabilmente identificava col Dio cristiano, proprio nel punto dove, tre anni dopo, il senato erigerà in onore del solo ed unico imperatore, l’arco onorario specularmente opposto a quello che si trova nel punto da cui la battaglia ebbe inizio.
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