venerdì 2 aprile 2010

La sindrome di Cotard: la convinzione di essere morti


Odd Nerdrum - Drifting
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La sindrome di Cotard, un raro disturbo (circa 100 casi segnalati in letteratura) per cui il paziente è convinto di essere morto.
Fu chiamata così dal nome dello psichiatra francese Jules Cotard che ne descrisse la sintomatologia alla fine dell’ottocento definendola un delirio di negazione accompagnato da sentimenti di colpevolezza, negazione di parti del corpo ed anche, paradossalmente, di intenzioni e ideazioni suicidarie.
E’ una condizione osservata, molto raramente, nei pazienti con schizofrenia e disturbo bipolare grave, ma anche in seguito a danno cerebrale.
Gli scienziati credono che i pazienti con sindrome di Cotard siano andati incontro alla stessa “interruzione” fra riconoscimento dei volti ed emozione di familiarità che avviene nei pazienti con sindrome di Capgras con la differenza che questi ultimi attribuirebbero all’esterno il problema ("quella donna sembra mia moglie, ma io non provo niente nei suoi confronti quindi non è mia moglie"), mentre i primi lo attribuirebbero a sè stessi ("quella donna sembra mia moglie, ma io non provo niente per lei, io sono morto").
Lo stile di attribuzione causale (interno od esterno), che è la tendenza di una persona ad attribuire gli eventi della sua vita a sé stessa o agli altri o al caso (ciascuno di noi ha il suo stile di attribuzione causale) potrebbe essere la differenza cognitiva che sta alla base del diverso esito sintomatologico di una stessa patologia.
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Sul Financial Times c’è un articolo che parla di un recente caso di Sindrome di Cotard: una giovane paziente con episodi di epilessia insorti a seguito di un’ infezione cerebrale da virus herpes simplex.
Si chiama Liz e si è presentata al London Hospital affermando di essere morta da due settimane e di non sapere dove si trovava se all’inferno o altrove.
Il medico che l’ha seguita, il dott. McKay, oltre alle cure del caso le ha fatto anche una serie di domande per cercare di comprenderne lo stile di attribuzione causale, rilevando che questa paziente aveva effettivamente una tendenza inusuale all’attribuzione interna.
Si tratta naturalmente soltanto di una ipotesi, il neuroscienziato Ramachandran nel suo libro Cosa sappiamo della mente, spiega come una negazione così estesa del proprio "esistere" non nasca dalla sola anaffettività nei confronti di altri conosciuti.
Secondo Ramachandran questo tipo di pazienti è diventato completamente anaffettivo, per ogni cosa, animata e inanimata, vista, toccata, gustata, odorata ecc...
Il totale scollamento emotivo dalla realtà costringerebbe il paziente a darsi la spiegazione (dal suo punto di vista, più che logica) di essere morto.Per fortuna Liz è stata dimessa una settimana dopo, essendo migliorata visibilmente, il suo caso è stato pubblicato nella rivista Consciousness and Cognition.
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da: http://psicocafe.blogosfere.it

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