lunedì 22 marzo 2010

Apicio


In polipo: pipere, liquamine, lasere inferes.
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(Apicio)
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I cronisti e gli storici romani ricordano tre distinti personaggi col nome di Apicio.
Vissuti in epoche diverse - dall'età repubblicana a quella augustea, a quella di Traiano - condividono, oltre al nome, la fama di impavidi ghiottoni.
Soprattutto sul secondo - Marco Gavio Apicio - menzionato sia da Seneca che da Plinio, si andò accumulando un'esuberante aneddotica. Si vuole, ad esempio, che nutrisse le murene con la carne degli schiavi, e che si sia ucciso dopo aver dilapidato in banchetti un immenso patrimonio (Seneca riporta una cifra che ammonta a circa 100 milioni di sesterzi, quanto fa in euro non lo so ma sembra comunque tanto).
Intorno al 230 d.C. un cuoco di nome Celio compilò una raccolta di ricette in dieci libri, il De re coquinaria (L'arte culinaria), attribuendola ad Apicio. Si tratta di appunti frettolosi e disordinati che costituiscono, tuttavia, la principale fonte superstite sulla cucina nell'antica Roma.
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