venerdì 19 febbraio 2010

Quello che volevi


Le braccia penzoloni, appoggio la fronte contro il vetro.
La gente giù in strada cammina, alcuni si fermano e guardano una vetrina, ripartono.
Una ragazza tira un lembo delle mutandine fuori dal solco del sedere. Riparte anche lei.
Io vedo l’avvenire.
È là, posato sulla strada, appena un po’ più pallido del presente.
Che bisogno ha di realizzarsi?
Che cosa ci guadagna?
.
Camminano le persone, quello era lì, ora è qui…
non so più come sia: li vedo i suoi gesti o li prevedo?
Non distinguo più il presente dal futuro, e tuttavia la cosa continua, si realizza a poco a poco. Questo è il tempo, né più né meno che il tempo, giunge lentamente all’esistenza, si fa attendere, e quando viene si è stomacati perché ci si accorge che era già lì da un pezzo.
La donna ora è laggiù, ebbene sì questo è nuovo, lei era qui sotto un momento fa.
Ma è un nuovo appannato, violato, che non può mai sorprendere.
.
Mi strappo dalla finestra e attraverso la stanza vacillando, m’invischio allo specchio, mi guardo vedo il disgusto di tutto; la profondità di un’eternità.
.
Sfuggo alla mia immagine e vado ad abbattermi sul letto.
Guardo il soffitto, vorrei dormire.
Calma, calma!
Non sento più lo scorrimento, i fruscii del tempo.
Vedo delle immagini sul soffitto. Dapprima dei cerchi di luce, poi delle croci.
Svolazzano.
Mi sento senza carne, ne linfa, ne sangue.
Sono troppo gracile per sopportare questo dolore eccezionale.
.
Improvvisamente qualcosa rompe di netto, il tempo riprende la sua mollezza quotidiana, le immagini declinando si contraggono e rimpicciolendosi scompaiono.
La fine fa tutt’uno col principio.
Le idee si fanno voce e sembrano che dicano: “E’ questo che volevi?
Ebbene è precisamente quello che non hai avuto”.
.
.

Nessun commento:

Posta un commento