giovedì 29 ottobre 2009

'Omar Khyyam


Se solo questa lunga strada avesse fine
e nel corso di centomila anni,
dal cuore della polvere
come la verzura
tornasse a spuntare la speranza.
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Omar Khayyam (1048 - 1131) presenta un difficilissimo problema d'interpretazione. Era un razionalista che annegava nel vino la sua disillusione cosmica, oppure un sottilissimo mistico? La questione è lungi dall'essere risolta. Le fonti arabo-persiane descrivono Hayyam soprattutto come scienziato: profondo in matematica, astronomia, filosofia e teologia, geloso del suo sapere, dal carattere difficile e scontroso. Fu astronomo alla corte dei Selgiuchidi, presso i quali si adoperò per una riforma calendariale. Una leggenda lo vuole iniziato a circoli esoterici, condiscepolo di Hasan-e Sabbah, il famoso "Veglio della Montagna" capo della famigerata setta degli Assassini. Vere o false che siano, tali immagini mostrano la doppia anima di Omar Hayyam, che se da un lato sembra preferite lo spicciolo divertimento alle gioie celesti, dall'altra appare perfettamente a suo agio tra i simboli della poesia sufica. Amo credere che in Hayyam convivessero entrambe le anime, quella del materialista e quella del mistico, e che anzi, sia proprio la convergenza di queste due opposte chiavi di lettura a creare la simultaneità di significati che rende le sue quartine dei gioielli di scintillante perfezione. Sia come sia, da quasi un millennio, le Rubaiyyàt (o rubaiyat) ovvero "Quartine", non cessano di sedurre l'umanità con la loro dolcezza, la loro gioia, la loro tristezza esistenziale e la loro inestinguibile sete di Assoluto.
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