venerdì 30 ottobre 2009
Gaëtan Gatian de Clérambault
Nel 1908, Gaëtan Gatian de Clérambault aveva trentasei anni. Un’età non troppo giovane per un medico che, ossessionato dalla fotografia e dal disegno, impiegato presso la Prefettura di polizia, già da un decennio si dedicava smodatamente alla ricerca di malanni e sintomi nascosti nei luoghi più impervi del costume umano e del commercio sociale.
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Clérambault frequentava gli ambulatori giudiziari, non sdegnava le carceri o i reparti in cui si confinavano i derelitti e, nel corso della Prima guerra mondiale, prese infine servizio come medico di campo nel duplice intento di studiare i traumi del conflitto sugli individui e fotografare le conseguenze sul territorio dell’esplosione delle mine. Nel 1908, comunque, alcune delle future teorie di questo insolito psichiatra un po’ conservatore e forse troppo legato agli schemi dell’ereditarietà troveranno in nuce il loro primo sviluppo e il primo accenno negli “Archives d’anthropologie criminelle de Médecine légale et de psychologie normale et pathologique “. Gli “Archives” ospitarono infatti la prima parte di una sua singolarissima relazione dedicata al drappeggio e intitolata La passion érotique des étoffes chez la femme. La passione femminile per le stoffe era stata indagata proprio in quegli anni, che grosso modo coincidevano con il boom di aperture di Grandi Magazzini, da scrittori e giornalisti incuriositi soprattutto da un nuovo fenomeno in rapidissima diffusione come il furto “femminile”, legando in forma un po’ ingenua la cleptomania alla fascinazione esercitata dalla moda e dal prêt-à-porter. Pur non trascurando affatto l’elemento del “passionale” del furto, più che lanciarsi in voli romantico-pindarici o in esercizi di moralizzazione sulla “donna delinquente”, Clérambault preferì concentrarsi sulla descrizione delle stoffe intese come veri e propri corpi e come tali dotati di pulsioni, generatori di passioni, capaci di trasformarsi in veicolo del più smodato erotismo femminile e di una perversione specifica molto diversa da quella riscontrabile negli uomini. Attraverso l’interrogatorio di tre detenute «che hanno provato un’attrazione morbosa per certe stoffe, in particolare per la seta», Clérambault giunse a circoscrivere un preciso fenomeno di feticismo in tono minore, tutto femminile, determinato da «iperestesia al contatto con la seta». In mancanza di concretissima seta rubata, notava però lo psichiatra, le donne non sognavano immaginarie «sete sontuose» e il loro rapporto appariva dunque carnalmente e concretamente simile a quello di un «buongustaio solitario mentre assapora un buon vino».
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Le intuizioni di Clérambault, sviluppate nei successivi lavori sulle psicosi passionali, sull’automatismo mentale e, soprattutto, sull’erotomania arriveranno fino a Lacan che nel 1966 lo designerà esplicitamente come «unico maestro» (in psichiatria), suscitando una particolare eco e in alcuni, c’è da supporre, persino un certo imbarazzo. Che cosa aveva da condividere Lacan con l’eccentrico e disattento Clérambault, che non si mostrò proprio un estimatore di Freud, era un aperto avversario del surrealismo e per giunta morì suicida con una mise-en-scène così sfacciatamente teatrale che il 20 novembre del 1934 ispirò a “Le Figaro” un commento tanto sfrontato, quanto celebre? Il giornale testualmente scrisse: «Sembra che le malattie mentali siano contagiose. Non si vive impunemente a contatto con i pazzi».Già nei suoi primi testi, in particolare nello studio del 1931 dedicato alla Structure des psychoses paranoïaques, Jacques Lacan aveva mostrato il proprio debito nei confronti di Clérambault. Nonostante un rapido allontanamento dalla sua “scuola”, Lacan ebbe il merito indubbio di individuare nel’«erotomania» e nell’automatismo mentale descritti da Clérambault altrettanti elementi chiave per comprendere la strutturazione dell’inconscio come linguaggio. Ma Lacan non era il solo. Pochi anni dopo- nel ‘37 per la precisione – toccò a Gaston Ferdière riprenderne un po’ più schematicamente le tesi e sintetizzarle in un lavoro non privo di conseguenze, anche se poco noto: L’érotomanie ou l’illusion délirante d’être aimé edito da Doin & C. e dedicato, appunto, alla cosiddetta «sindrome di Clérambault» o erotomania. Non è singolare, pertanto, che anche il nome di Gaston Ferdière – figura complessa, noto ai più solo in quanto “sfortunato” psichiatra di Antonin Artaud – ritorni assieme a quelli di Clérambault e, ovviamente, Lacan nel volume bello e ricco di aperture che Chiara Mangiarotti, Céline Menghi e Martin Egge hanno dedicato alle Invenzioni nella psicosi. Unica Zürn, Vaslav Nijinsky, Glenn Gould.
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Se alla morte di Clérambault “Le Figaro” ironizzava forse involontariamente sulle potenzialità di contagio della follia, Lacan ribadiva che no, «non diventa pazzo chi vuole» e un organismo fragile, «un’immaginazione sregolata, conflitti che superano le forze non bastano» per spiegare il mistero complesso della follia. Sono precisamente queste parole – nota Céline Menghi nel saggio che apre il volume – a far posto alle «parole del folle nel campo della psicoanalisi». Ma sono ancora queste parole a riproporre drasticamente la questione in tutta la sua rischiosa complessità, dove se è vero che i rischi aumentano in proporzione alla seduzione e al fascino del tema e dei soggetti trattati.
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Il punto centrale che muove e lega in uno schema unitario i tre lavori presentati nel volume (Egge sul “dialogo senza parole” di Gould, Menghi sulla scrittura di Nijinsky e Mangiarotti sulla poesia anagrammatica, sul segno e il disegno di Unica Zürn) è quello della “supplenza” e dell’invenzione nella follia. Per continuare a vivere, alcune persone decidono di porsi non solo idealmente al confine fra la vita e la morte: il bisogno di equilibrio, ordine e protezione forse non nascondono altro che il desiderio di coltivare una passione che salva e permette – a loro, ma non soltanto – di affrontare l’angoscia dell’esistenza. Se ne ricava un dialogo intenso, fortemente articolato fra le figure chiamate in causa e i problemi – non pochi – che mano a mano affiorano nella disamina delle singolarità del lavoro con e sul pianoforte di Gould, in quel vero testo di rottura e di vita vissuta che sono i Diari di Vaslav Nijinski, e nelle mille vicissitudine di Unica Zürn nella sua volontà di essere scrittrice e in seguito nella sua incapacità di esserlo in ogni circostanza, soprattutto dopo l’incontro con Hans Bellmer e Gaston Ferdière (che la prese in cura).
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È proprio nella figura della Zürn, affrontata nel lungo saggio critico di Chiara Mangiarotti (Unica Zürn. Una Unica supplenza), che vita, “follia” e strategie di esistenza si muovono e si incontrano sul crinale di un equilibrio particolarmente fragile. La Zürn, infatti, sembra incarnare perfettamente il tipo affetto da «sindrome di Clérambault» e animato, come sosteneva Ferdière, da una delirante illusione di essere amati. Ma il suo equilibrio – e questo Ferdière non lo comprese mai – è tale, pur nella precarietà che gli fa da sfondo, proprio perché integralmente inscritto nella storia di uno «stato passionale». Una stato continuamente sovreccitato, un’invenzione appunto nella psicosi, come ricorderà nell’autobiografico Oscura primavera. Storia, quella di Unica, che è anche un capitolo importante nel rapporto spesso distorto fra genialità, femminile e follia. Termini quasi sempre assunti – ma non è questo il caso – come altrettanti luoghi comuni.
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Nel 1970, poche settimana prima di togliersi la vita, Unica Zürn scrisse un testo che ha tutti i canoni dell’appello, seppure tardivo. Nel testo – intitolato MistAKE, recante la dedica «a Jacques Lacan» – Unica parla di un «uomo chiamato amore». In questa figura l’autrice berlinese condensava il tema di tutto il proprio lavoro di scrittura: la possibilità di un amore a distanza, anche quando impossibile. «Soltanto chi ama senza speranza», scriveva infatti la Zürn, «ha la possibilità di amare sempre, e sempre con la stessa intensità». E forse questo Clérambault l’aveva capito.
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Unica Zürn
Unica Zürn, compagna del surrealista Hans Bellmer, abile disegnatrice di anagrammi e esseri ibridi morì suicida a 54 anni.
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E' prendendosi una vacanza dalla scrittura che Unica Zürn (1916-1970) comincia a dipingere nella Berlino del secondo dopoguerra. Ex sceneggiatrice dell'Ufa guadagna allora appena da vivere scrivendo racconti fantastici e storie brevi per i giornali tedeschi. Ma la sua vocazione artistica trova autentica espressione e riconoscimento solo dopo l'incontro-colpo di fulmine con il surrealista Hans Bellmer (1902-1975), che raggiunse a Parigi nel '53.
.E' prendendosi una vacanza dalla scrittura che Unica Zürn (1916-1970) comincia a dipingere nella Berlino del secondo dopoguerra. Ex sceneggiatrice dell'Ufa guadagna allora appena da vivere scrivendo racconti fantastici e storie brevi per i giornali tedeschi. Ma la sua vocazione artistica trova autentica espressione e riconoscimento solo dopo l'incontro-colpo di fulmine con il surrealista Hans Bellmer (1902-1975), che raggiunse a Parigi nel '53.
Qui, dando vita a una singolare opera grafica e letteraria, divide con lui gli anni bui della miseria e quelli dei rari esaltanti successi. Qui, la celebra oggi il museo Halle Saint-Pierre presentando (sino al 4 marzo 2007) la sua prima retrospettiva francese. Poco più di un centinaio di disegni realizzati tra il 1954 e il 1970, quasi una mappa criptica del suo tormentato paesaggio interiore. Vi appaiono delicate figure femminili ornate di squame, millepiedi appuntiti, ibridi misteriosi volatili, vegetali rapaci, meduse, serpenti, sfingi, draghi bicefali, e altre incantevoli creature mostruose, spesso attraversate, o congiunte, da punti, coni, spirali e reticoli da cui si sprigiona una moltitudine di occhi. Come se il suo incessante scrutare "l'idra della sofferenza" facesse esplodere la visione artistica in una fantasmagorica fuoco d'artificio mentale, confondendo le chimere dell' archetipo collettivo con le sue ossessioni intime in enigmatiche filigrane all'inchiostro di china.
."Vidi immediatamente il suo notevole talento per il disegno automatico, sostenuto da una 'melodia' grafica senza rotture" dice Bellmer dei suoi primi disegni. Nonostante la ritragga nuda con il corpo nudo legato stretto in un ammasso di carne deforme (nella celebre Unica in copertina de Le Surrealisme, même, con l'eloquente didascalia "conservare al fresco"), l'artefice de la Poupée incoraggia sin dall'inizio la vocazione della compagna ( a differenza degli altri surrealisti, da Breton, che tenta di ignorare il talento pittorico della moglie Jacqueline Lamba per relegarla al ruolo di musa, a Yves Tanguy che non guarda mai i dipinti della compagna Kay Sage, pasando per Man Ray che non riesce ad accettare la libertà di Lee Miller).
.E condivide con lei la passione per gli anagrammi. Lui paragona il corpo "a una frase che sembra invitarci a disarticolarla, affinché il suo vero contenuto si ricomponga in una serie di anagrammi senza fine" (Anatomie de l'image, 1957). In quest'ottica, la serie della bambola, Die Puppe (1953-1954) - descritta da André Breton a Paul Eluard come" il primo e unico oggetto surreale originale"- si rivela come una combinazione di anagrammi corporali: gambe, braccia, sessi, scorporati dalla loro funzione originale reincorporati in una nuova forma che sfida il comune senso del pudore per moltiplicarne le ambiguità.
.Intanto i disegni di lei prendono la forma di anagrammi grafici, effetto collaterale di una trance dalla disperata vitalità. Appasionata della ricerca dei significati reconditi delle parole e dei numeri ( si aspettava di morire a 54 anni, poiché cinque più quattro fa nove, il suo numero magico), l'artista eccelle negli anagrammi letterari. Già nel '54 la galleria Springer di Berlino pubblica il suo volume Hexentexte (Scritti di strega): raccolta di dieci anagrammi e dieci disegni con postfazione di Bellmer.
.Accolta con entusiasmo dal gruppo surrealista, partecipa con la sua opera alle esposizioni collettive del movimento (tra cui l'ultima grande mostra internazionale alla Galleria Cordier nel '59) e ha tre personali a Parigi ( per la mostra del '62, alla galleria Le Point Cardinal, Max Ernst comporrà una prefazione "cryptografica", qui esposta).
.Determinante l'incontro con l'artista Henry Michaux, che allora sperimenta diversi allucinogeni al fine di carpire i segreti della coscienza. La partecipazione di Unica Zûrn a questi esperimenti sarebbe all'origine, nel '57, della prima di una lunga serie di crisi mentali che negli ultimi anni la costringono a numerosi soggiorni psichiatrici. Durante questi periodi che lei talvolta definisce "vacanze", Michaux le rende visita portandole fogli e colori affinché prosegua nella sua opera artistica.
.Contribuendo involontariamente alla sua discesa nella fossa dei serpenti e offrendole gli strumenti virtuali per attraversarla "a mano armata", Michaux appare come l'uomo del destino che Unica evoca nel suo libro Der Mann im Jasmin (L'uomo dei gelsomini), sottotitolo: Impressioni di una malata mentale, pubblicato postumo nel '71 e definito allora da Michel Leiris "il libro più importante dell'anno".
.Un'autobiografia fuori dai canoni, dove l'artista cortocircuita le figure dell'autrice, narratrice e protagonista, fondendo ad arte delirio e creazione, rappresntazione e realtà, per elaborare imperturbabili "cronache dall'interno", incursioni alla terza persona singolare nei territori della follia femminile.
.Nella postfazione (1977) Ruth Henry, traduttrice francese e amica intima, dice di lei:"Aveva intuito che la fuga, il bisogno della malattia, della follia, costituivano il fondamento stesso della sua esistenza. Pure, assumendo un compito che si era autonomamente attribuita, è riuscita a trasporre la distruzione della malattia in qualcosa di costruttivo, in un'opera. Così facendo ha realizzato un'azione - un'azione vitale- che poi l'ha condotta 'verso l'antico paese incantatore della morte'".
.Già. L'idea del sucidio, evocata pure nel breve Dunkler Frühling (1967), oscura primavera, rivisitazione erotica dell'infanzia, permea tutti i suoi scritti. Così, il 19 ottobre 1970, a 54 anni, uscita dalla clinica con un permesso speciale, si getta dal balcone dell'appartamento che divide con Bellmer (paralizzato da lunghi mesi), incapace di sopportare oltre la sua amara condizione, da cui la malattia mentale non è più fuga, vacanza, o pre/testo artistico ma, sempre più, ormai solo un'opprimente prigione. Da cancellare, come un disegno sbagliato, con un salto nel vuoto.
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Eugenio Montale - Non ho mai capito se io fossi
Non ho mai capito se io fossi
il tuo cane fedele e incimurrito
o tu lo fossi per me.
Per gli altri no, eri un insetto miope
smarrito nel blabla
dell’alta società. Erano ingenui
quei furbi e non sapevano
di essere loro il tuo zimbello:
di essere visti anche al buio e smascherati
da un tuo senso infallibile, dal tuo
radar di pipistrello.
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Un’ironia affettuosa
Tra il poeta e la moglie si era costruito negli anni un rapporto di completa reciprocità, l’uno era per l’altro un cane fedele e insieme bisognoso di cure e protezione. La moglie è fatta oggetto di affettuosa ironia da parte di Montale, che ne dà diverse sfumature attraverso paragoni con gli animali (cane, insetto, pipistrello), mentre aspra diventa l’ironia nei confronti degli uomini ipocriti (Erano ingenui / quei furbi) e il loro superficiale blabla, fatto di chiacchiere senza senso. Il valore simbolico della vista Il significato della lirica ruota intorno alle opposizioni riferite al nucleo tematico della vista: la donna è detta insetto miope, ma in realtà capace di smascherare l’ipocrisia dei furbi, con il suo buon senso e la sua sensibilità nel cogliere l’essenza del reale (radar di pipistrello). Questa antitesi è condensata nell’ossimoro erano ingenui quei furbi, rivelazione della superficialità di uomini che si credono smaliziati. L’insetto miope e smarrito è la stessa donna dalle pupille tanto offuscate di Ho sceso, dandoti il braccio: è lei che riesce a vedere al di là delle apparenze ingannevoli e a comprendere ciò che conta, grazie alla sua intelligenza di vita. Anche in Ho sceso... si ritrova la tematica del reciproco sostegno: il poeta le dava sì il braccio per aiutarla a scendere le scale, ma era lei la guida autentica nel/ungo viaggio della vita. Le caratteristiche dello stile La poesia ha un tono colloquiale insieme a un’accurata struttura sintattica: quattro periodi, di cui il primo e il quarto occupano tre versi, il secondo e il terzo due versi e mezzo. Il lessico prosaico è intessuto di corrispondenze tra le rime: capito-incimurrito (rima interna), fossi-fossi (anafora), zimbello-pipistrello. La rima interna blabla-società dimostra la capacità di Montale di usare forme linguistiche da mass media. Da notare gli enjambements (se io fossi / il tuo cane fede/e; Erano ingenui / quei furbi; dal tuo / radar).
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Leo Baeck
Tutti un giorno, dobbiamo morire.
Non possiamo esser certi di ciò che ci attende dopo morti, ma pensate che stupende possibilità vi sono!
Può darsi, come disse Socrate, che la morte sia soltanto un sonno tranquillo.
Personalmente, sento che la morte sarà la grande rinascita.
Perciò avviamoci alla morte come il bimbo va nel suo letto.
Accogliamo tranquillamente quest'ora di coricarsi e diciamo che la vita è stata un bene.
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rifiuta di defecare per 16 giorni
Il Sig. Damien Ankrah, di 28 anni, ha “eroicamente” rifiutato di andare di corpo per 16 giorni con lo scopo di evitare l’auto-incriminazione che poteva risultare dall’espulsione della scorta di droga che portava all’interno del corpo. L’uomo era stato arrestato come sospettato corriere il 13 luglio. Per quattro giorni ha evitato di alimentarsi ma poi ha cominciato ad accettare piccole quantità di cibo. Ha “retto” fino al 29 del mese quando gli agenti hanno trovato cinque profilattici pieni di eroina nelle sue feci. Malgrado l’avvocato difensore abbia descritto la sua azione come indicativa di “forza e determinazione”, una Corte gallese lo ha condannato a 52 mesi di reclusione per detenzione di stupefacenti a scopo di spaccio. (Fonte)
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giovedì 29 ottobre 2009
'Omar Khyyam
Se solo questa lunga strada avesse fine
e nel corso di centomila anni,
dal cuore della polvere
come la verzura
tornasse a spuntare la speranza.
.Omar Khayyam (1048 - 1131) presenta un difficilissimo problema d'interpretazione. Era un razionalista che annegava nel vino la sua disillusione cosmica, oppure un sottilissimo mistico? La questione è lungi dall'essere risolta. Le fonti arabo-persiane descrivono Hayyam soprattutto come scienziato: profondo in matematica, astronomia, filosofia e teologia, geloso del suo sapere, dal carattere difficile e scontroso. Fu astronomo alla corte dei Selgiuchidi, presso i quali si adoperò per una riforma calendariale. Una leggenda lo vuole iniziato a circoli esoterici, condiscepolo di Hasan-e Sabbah, il famoso "Veglio della Montagna" capo della famigerata setta degli Assassini. Vere o false che siano, tali immagini mostrano la doppia anima di Omar Hayyam, che se da un lato sembra preferite lo spicciolo divertimento alle gioie celesti, dall'altra appare perfettamente a suo agio tra i simboli della poesia sufica. Amo credere che in Hayyam convivessero entrambe le anime, quella del materialista e quella del mistico, e che anzi, sia proprio la convergenza di queste due opposte chiavi di lettura a creare la simultaneità di significati che rende le sue quartine dei gioielli di scintillante perfezione. Sia come sia, da quasi un millennio, le Rubaiyyàt (o rubaiyat) ovvero "Quartine", non cessano di sedurre l'umanità con la loro dolcezza, la loro gioia, la loro tristezza esistenziale e la loro inestinguibile sete di Assoluto.
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Atarassia
Federico Garcia Lorca - Clamore
Jeremy Forson
.Sulle torri
gialle,
suonano le campane.
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Sopra i venti
gialli
si aprono i rintocchi
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Per la strada va
la morte incoronata
di fiori d’arancio appassiti.
Canta e canta
una canzone
sulla sua chitarra bianca
e canta e canta e canta.
la morte incoronata
di fiori d’arancio appassiti.
Canta e canta
una canzone
sulla sua chitarra bianca
e canta e canta e canta.
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Sulle torri gialle,
tacciono le campane.
tacciono le campane.
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il vento con la polvere
crea prue d'argento.
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deriva
Joanne Kerrihard - Crystal Lake
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Renato Guttuso
Renato Guttuso - Portella della Ginestra (1953)
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La vecchia credeva che fossero mortaretti e cominciò a battere le mani festosa. Rideva. Per una frazione di secondo continuò a ridere, allegra, dentro di sé, ma il suo sorriso si era già rattrappito in un ghigno di terrore. Un mulo cadde con il ventre all'aria. A una bambina, all’improvviso, la piccola mascella si arrossò di sangue. La polvere si levava a spruzzi come se il vento avesse preso a danzare. C'era gente che cadeva, in silenzio, e non si alzava più. Altri scappavano urlando, come impazziti. E scappavano, in preda al terrore, i cavalli, travolgendo uomini, donne, bambini. Poi si udì qualcosa che fischiava contro i massi. Qualcosa che strideva e fischiava. E ancora quel rumore di mortaretti. Un bambino cadde colpito alla spalla. Una donna, con il petto squarciato, era finita esanime sulla carcassa della sua cavalla sventrata. Il corpo di un uomo, dalla testa maciullata cadde al suolo con il rumore di un sacco pieno di stracci. E poi quell'odore di polvere da sparo.
La carneficina durò in tutto un paio di minuti. Alla fine la mitragliatrice tacque e un silenzio carico di paura piombò sulla piccola vallata. In lontananza il fiume Jato riprese a far udire il suo suono liquido e leggero. E le due alture gialle di ginestre, la Pizzuta e la Cumeta, apparvero tra la polvere come angeli custodi silenti e smarriti.
Era il l° maggio 1947 e a Portella della Ginestra si era appena compiuta la prima strage dell'Italia repubblicana.
La carneficina durò in tutto un paio di minuti. Alla fine la mitragliatrice tacque e un silenzio carico di paura piombò sulla piccola vallata. In lontananza il fiume Jato riprese a far udire il suo suono liquido e leggero. E le due alture gialle di ginestre, la Pizzuta e la Cumeta, apparvero tra la polvere come angeli custodi silenti e smarriti.
Era il l° maggio 1947 e a Portella della Ginestra si era appena compiuta la prima strage dell'Italia repubblicana.
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Salva la Terra, mangia un cane!
I calcoli di due ecologisti della neozelandese Victoria University, i professori Brenda e Robert Vale, dimostrano come l’impatto ambientale degli animali di compagnia spesso supera, anche di molto, quello delle auto. Secondo i due, il peso sull’ambiente di una Land Cruiser Toyota portata 10mila km l’anno è meno della metà di quello di un cane di taglia media, mentre il costo ambientale di un gatto sarebbe più o meno quello di una Volkswagen Golf. Un televisore al plasma equivarrebbe – considerata in questa luce – a due criceti. Il suggerimento dei ricercatori è di tenere in casa solo cuccioli commestibili, come polli e conigli. (Fonte)
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mercoledì 28 ottobre 2009
Ahimè-ahimè!!
La tradizionale operazione di riportare le lancette dell'orologio sull'ora solare quest'anno è stata eseguita senza la consueta sofferenza fisica che invece l'accompagnava gli anni scorsi. Questo và detto perchè (primo ahimè) questa indifferenza è cosa piuttosto significativa e rappresenta un approccio ressegnato a questa situazione che non rientra (o forse rientrava?) nelle mie corde.
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La seconda cosa da dire riguarda l'orario in sè da impostare sull'orologio. L'evoluzione ci ha portato al punto che ormai sono i satelliti che automaticamente ci rimettono gli orologi. Io, per contro, l'ora l'ho ritoccata in funzione del padellone di fabbrica posto vicino ai cartellini che tutto è meno che esattissimo.
Ricordo una frase di Vujadin Boškov che suonava: rigore è rigore quando arbitro fischia, nel senso che non ci sono verità assolute in alcune situazioni, ma siamo soggetti passivi di leggi che ci vengono imposte da altri e che entrano invasive nella nostra vita (secondo ahimè).
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martedì 27 ottobre 2009
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