lunedì 27 luglio 2009
Il 27 luglio 1994 muore a Johannesburg suicida...
... Kevin Carter fotografo sudafricano.
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Kevin Carter, si suicidò tre mesi dopo aver vinto il premio Pulitzer grazie a questo scatto, secondo alcuni era già da tempo depresso , faceva uso di droghe e soffriva per la morte di un suo caro amico -e collega- ucciso dalla polizia di Johannesburg.
Quel giorno il fotografo aveva avuto un incontro con il male assoluto, con una scena troppo difficile da affrontare; il rantolo di una bambina sudanese abbandonata che stava morendo, e a pochi metri un avvoltoio appostato in attesa di ghermirla.
Secondo Susan Sontag il fotografo vive una condizione simile a quella del turista che s’immerge in una realtà , anche dolorosa , con la consapevolezza di poterne uscire in qualsiasi momento, c’è un confine rassicurante che si può sempre attraversare tra “l’io” che osserva e “loro” che soffrono, una condizione di privilegio esistenziale che dà i brividi , per altri il fotoreporter è poco più di un entomologo che guarda gli esseri umani con distacco, senza una vera empatia con la realtà che sta documentando , la professionalità supera di molto l’umanità del suo sguardo.
Ma la stessa cosa si può dire del lettore e di chi usufruisce dell’informazione.
Cosa fece Carter dopo aver scattato la foto? Scacciò l’avvoltoio? soccorse la bambina, oppure no?
Nelle poche settimane prima del suicidio a chi lo interrogava rispondeva di non essere assolutamente orgoglioso di quell’immagine, anzi di odiarla, ma più spesso glissava.
Se è vero che la foto è il motivo della sua morte, Carter si uccise veramente perché era oppresso dal rimorso? oppure perché aveva assistito impotente a qualcosa che era troppo da sopportare? Si sentiva in colpa per se stesso, oppure in maniera universale per tutto il mondo “sviluppato” che rappresentava tramite il lavoro di reporter free-lance? per essere un’ appartenente a quell’universo che filtra ogni dramma con le regole del marketing, dei tagli redazionali e delle convenienze politiche e culturali? O più semplicemente perché non era riuscito ad obbedire a quella regola etica che gli avrebbe imposto di non scattare affatto e salvare la bambina?
Secondo un’altra testimonianza Carter non si fermò per soccorrerla e la ritrovò il giorno dopo morta nello stesso luogo, ma ogni racconto sull’episodio è sempre pieno di contraddizioni e imprecisioni.
Non ci rimane più nulla per capire a fondo il perché di questa immagine se non la sua forza immediata che fa vacillare qualsiasi altro tentativo di ragionamento e comprensione.
Carter , o forse la leggenda che ormai vive al suo posto, ha compreso che il suo sguardo di fotografo era solo uno strumento facilmente manipolabile, senza nessuna altra possibilità di intervento sulla realtà.
Carter ha visto l’essenza dell’uomo che muore diventando un pasto per un altro animale, forse ha riconosciuto la vera natura del suo essere uomo.
Probabilmente tutte le motivazioni del reporter spinto dalla passione politica ed etica del dovere d’informazione sono crollate in un colpo.
Pure lui ha agito d’istinto , il suo scatto non è pensato, è un riflesso della sua professionalità che gli imponeva di fronte al dramma di documentarlo, in un certo senso era in trappola, prigioniero del suo ruolo, impotente rispetto alla atrocità , schiacciato dell’assurdità della sua condizione, l’essere un professionista voleva dire smettere di essere semplicemente umano…almeno lui se n’è accorto.
Oppure sono solo supposizioni.
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Interessante.
RispondiEliminanon sapevo che ci fosse questa storia dietro alla foto.
Angelo.