martedì 6 aprile 2010

Santa Grata (Bergamo- Città Alta)


Non solo Macabri «Buon giorno, signor Scheletro. I miei ossequi, signora Morte. Come va? Tutto bene?». Una bella coppia, senza dubbio, elegante e distinta. Un po’ strana, forse. Un po’, come dire?, “imbarazzante”... Gente di poche parole, freddina, a dirla tutta, con quel sorrisetto di chi sa qualcosa che tu non sai. E poi ti osservano, ti sbirciano, me ne sono accorto. Almeno come possono guardarti dei teschi dalle orbite vuote...Ma dove siamo capitati? A una lugubre festa in maschera? O all’altro mondo? Né l’una, né l’altro, per fortuna. Anche se con il fatto del morire qualcosa c’entra, tutto ciò. Siamo a Bergamo, a Borgo Canale, per l’esattezza, uno dei quartieri più suggestivi di Città alta, in uno dei luoghi cari alla tradizione religiosa degli orobici, la chiesa di Santa Grata. Dove, cioè, si venera la memoria di quella nobildonna che raccolse le spoglie del martire Alessandro, il civico patrono, proseguendone l’opera di apostolato.Il tempio, dunque antichissimo nell’origine, ha subito più e più rifacimenti, tanto che oggi appare in forme neoclassiche, con decorazioni d’inizio Novecento, ben fatte ma non certo esaltanti per il gusto odierno. Ma tanta storia, e tanta devozione, non si può certo cancellare. Ed ecco allora, sparse per la chiesa, testimonianze vetuste, relitti sorprendenti, quadri e dipinti di assoluto valore e di squisita bellezza. Delle vere “chicche”, come i Macabri di Paolo Vincenzo Bonomini, per l’appunto.Sei pannelli, sei tele che in occasione della commemorazione dei defunti venivano montate su un catafalco e presentate alla pubblica visione. O meglio, a una collettiva meditazione. Su cosa? Ma sulla morte, of course. Un teatrale, scenografico, grandioso Memento Mori, con i personaggi e i protagonisti della bergamasca società napoleonica chiamati a interpretare se stessi, quel che sono, quel che saranno. E, infine, quel che siamo. “Napoleonica”, diciamo, perché l’epoca di questi pannelli è proprio quella dei primi anni dell’Ottocento, come denunciano gli abiti in perfetto stile “direttorio” dei nostri damerini, a passeggio con il loro cagnolino. O come evidenzia la divisa del soldato tamburino, in un trionfo di verde bianco rosso: già, proprio l’italica bandiera, nata allora (e in Lombardia!) come vessillo della Repubblica Cisalpina e che poi sarà adottata dal nuovo Stato unitario. Un documento storico, quindi, interessante e prezioso.Ma non manca il popolo - e come potrebbe, in questi anni rivoluzionari? -, rappresentato da una coppia di contadini, sorpresi in amena conversazione: lei in piedi, con sporta e pentola di rame, agghindata come una perfetta Lucia Mondella; lui seduto, con cappellaccio in testa e roncola alla cintura. Ma c’è anche il falegname, che di chiacchierare, lui, non ha proprio tempo, carico com’è di seghe, pialle e altri arnesi da lavoro: un costruttore di bare, chissà? Ma forse non è il caso di “forzare” troppo la mano…E poi l’intellettuale, ovvero quel pittore che, tavolozza e pennello in mano, sa tanto di citazione autobiografica del Bonomini stesso, che, a dirla, tutta, viveva a lavorava a pochi passi da Santa Grata (come ancor oggi ricorda una targa). Attorno a lui due ragazzini, un maschietto e una femminuccia, probabilmente i figli stessi dell’artista, anch’essi, come tutti, con i loro bei teschi e tibie, seppur più minuscoli. Perché, forse che la morte risparmia i più giovani? O forse che non raggiunga anche i più pii e i più devoti, come i due bianchi frati genuflessi davanti alla Croce?La terra bergamasca pare avere una predilezione particolare per questo genere di rappresentazioni: basta pensare a quello straordinario Trionfo della Morte che campeggia sull’Oratorio dei Disciplini a Clusone. Ma questa Danza Macabra di Borgo Canale sorprende per il tono ironico, quasi scanzonato, dove il dramma si stempera in una quotidianità lieve e piacevole, e dove questi scheletri indaffarati, più che defunti o morituri, paiono come radiografie di uomini e donne intenti a recitare una parte…Eppure, proprio per questo, il messaggio dell’insieme non perde la sua forza, e anzi pare trarne giovamento. Troppo facile, pensare alla morte quando si manifesta nelle sue espressioni più violente e inattese. La nostra finitezza, la nostra mortalità, ci accompagna ogni giorno, ogni istante della nostra vita, che si sia ricchi o miserabili, che si sia intelligenti o sprovveduti, che si sia giovani o vecchi da averne viste tante… Meditiamo gente, meditiamo. Ma, illuminati, sempre, dalla speranza cristiana.
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(articolo di Luca Frigerio)
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da IL SEGNO - numero 11 - novembre 2006
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