lunedì 30 novembre 2009

l'arte di colui che tutto move


Cool (immagini senza dati pescate per caso dal web)


ar-T-ette: Lucien Clergue


Lucien Clergue della serie nus de la mer (1975)
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Fotografi: Simen Johan


Fotografi: Simen Johan


ex - libris


Ramesse II


la mummia di Ramesse II
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alle cinque in punto!


Un pò "romantica donna inglese" ma tanto carino questo post copia-incollato dal blog di Marta Farina.
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Alle cinque in punto, ovvero all'ora sacra del thè del pomeriggio, eccoli che arrivano.
Sono mamma TEIERA, sua figlia ZOLLETTA e il suo bambino BUSTINA, pronti ad allietare l'ora in cui fa buio, l'ora in cui i pensieri si radunano e s'ingigantiscono, l'ora in cui è dolce appoggiar le labbra sul bordo di una tazza in cui fuma il nostro thè, così confortante col suo caldo liquido scorrerci dentro...e fumano anche i pensieri che escono da noi, proprio mentre li confidiamo ad un amico passato di lì, a trovarci, e che ora ci siede accanto, in paziente ascolto...
Arrivano quando meno te lo aspetti, Teiera ed i suoi piccoli, e tu non puoi far altro che lasciarli entrare e aprir loro la porta, farli accomodare, lasciare che si occupino di tutto loro tre!
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Piacere: Cristiano Cavina!


Cristiano Cavina


Gustì restò a contemplare il mare in silenzio, per ore, e a un certo punto gli sembrò che non esistesse l'orizzonte, ma che l'acqua si piegasse improvvisamente all'insù, e ritornasse sopra la sua testa in forma di cielo. Da allora, pensò al mare come a un immenso tendone rimboccato sotto la striscia di spiaggia, là dove finiva il mondo.
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da Nel paese di Tolintesàc di Cristiano Cavina
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"Houston We Have a Problem"


Marcel Proust e la morte


Nella Recherche la morte è un elemento che separa, che crea dolore e lascia un vuoto. Ma a questo significato della morte, che non è dei più originali, se ne affianca un altro, molto più interessante, che possiamo vedere esemplificato nel caso della morte di Bergotte, lo scrittore.
La sua morte è descritta nel volume "La prigioniera": lo scrittore, che soffre di digestione, si reca a una esposizione d'arte ma mentre osserva i quadri esposti un forte malessere lo porta a morire improvvisamente. Il passo di questa descrizione è interessante perché mostra come, per Proust, la figura dell'uomo e quella dell'artista sono due cose ben distinte: infatti, se l'uomo muore, in maniera anche poco dignitosa, magari per aver digerito male delle patate come nel caso di Bergotte, è pur vero che, al contrario, l'artista rimane in tutta la sua dignità, e continua a vivere in eterno, nella memoria degli uomini che lo hanno amato e nella sua opera.
In altre parole, l'arte è capace di riscattare la vita dell'uomo, e in questo suo significato trova la sua più importante funzione per l'umanità.
«Lo si seppellì, ma durante tutta la notte funebre, dalle vetrine illuminate, i suoi libri, disposti a gruppi di tre, vegliavano come degli angeli dalle ali spiegate e sembravano, per colui che non c'era più, il simbolo della sua resurrezione».
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guerrilla art: Banksy


Banksy - Napalm (2004)
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Eugenio Montale - I Limoni


Ascoltami,
i poeti laureati si muovono soltanto fra le piante dai nomi poco usati:
bossi ligustri o acanti.
Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi fossi
dove in pozzanghere mezzo seccate
agguantano i ragazzi qualche sparuta anguilla:
le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.
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da I Limoni di Eugenio Montale
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ore 12:00 - momento zen


L'aRoma del v3l3no


pavimento interno S.Maria del Popolo
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ore 10:00 - coffee break


Gaetano Bellei (1857- 1922)
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La gente... le persone


Ray Caesar - Distant Thunder (2008)
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Può capitare che le persone che ci sono vicine
non apprezzino la nostra gentilezza
e non vedano la nostra tristezza.
C’è un tempo in cui si soffre per questo
ma poi tutto diventa fredda indifferenza
ed è giusto così
certe cose non vanno condivise con persone aride.
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Aaron Maurer


Aaron Maurer - Variance 2
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Aaron Maurer


Aaron Maurer - Variance
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Michelangelo Merisi da Caravaggio


Michelangelo Merisi da Caravaggio
Seppellimento di Santa Lucia (1608)
Olio su tela, 408 cm × 300 cm - Siracusa, Basilica di Santa Lucia al Sepolcro
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Dopo la fuga precipitosa da Malta, Caravaggio si rifugiò a Siracusa, e fu forse grazie all'amico siracusano Mario Minniti, pittore di talento, che riuscì ad ottenere la commissione di quest'opera. La scena, decisamente cupa, sembra ambientata all'ingresso delle latomie: due enormi becchini in primo piano stanno cominciando a scavare la fossa, mentre, rimpiccioliti e quasi stampati sullo sfondo rotto solo da un arco cieco, stanno gli astanti al funerale, con il vescovo che dà l'estrema unzione alla Santa decapitata.
La Santa presenta una ferita da taglio sul collo, ma se si osserva da vicino la trama della pittura, in un primo momento la testa appariva staccata. La drammaticità della scena è conferita, oltre che dalla riduzione delle dimensioni dei personaggi, dalla luce: non più orientata ed uniforme come nelle opere del periodo romano, ma più drammatica, del colore del sangue ed assumente tragici guizzi che quasi cancellano le figure; la parete di fondo solcata dall'arco cieco, poi, rende il tutto ancora più opprimente.
Sembra quasi che il pittore non voglia far sovvenire in chi guarda il martirio glorioso, ma solo la cupa realtà di un funerale, di cui i becchini sono i veri protagonisti.
Il motivo, poi, per cui Caravaggio scelga questo tema è semplice: su di lui pesava il bando capitale ed era in continua fuga per sfuggirne, ma l'incubo di finire giustiziato faceva sì che egli dipingesse, ossessivamente, scene di decapitazione.
Adesso il quadro è ammirabile a Siracusa presso la chiesa in piazza duomo di S.Lucia alla Badia.
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ritrova padre perduto, ma...


Interessante l'esperienza della Sig.na Emily Wallis, una ragazza 22enne che sognava da anni di incontrare il papà che non aveva mai conosciuto. L’uomo che sua mamma aveva descritto come “uno stallone incredibile” era infatti emigrato in Australia senza sapere che stava per diventare padre. Quando Mr. Clive Harrison, di 52 anni, è rispuntato di recente in Inghilterra, Emily è corsa a conoscerlo – e si è trovata davanti una trans con parrucca, rossetto e 82 (!) paia di scarpe col tacco alto nell’armadio. Miss Wallis, forse un tantino sopresa di ritrovare il padre perduto in un’aderente gonna di lamé d’argento, avrebbe però trovato l’animo di esclamare: “Sei messa meglio di me… e adoro quelle scarpe!” Nella foto i due.(Fonte)
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venerdì 27 novembre 2009

Il culo è la sola cosa al mondo ben divisa


Cool (immagini senza dati pescate per caso dal web)


ar-T-ette: Boobzilla



Fotografi: Li Wei


Fotografi: Li Wei


amo i tattoo


skeleton man:


Claude Ambroise Seurat
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Piacere: Mark Rothko!


Mark Rothko (Dvinsk [Russia] 1903 - New York, 1970)
Dopo aver lasciato la natia Russia all'età di dieci anni ed essersi trasferito con la famiglia a Portland , nell' Oregon Rothko si sposta a New York nel 1925, dopo aver frequentato l'università di Yale senza laurearsi. A New York entra in contatto con tutti gli artisti che costituiranno negli anni quaranta e cinquanta la cosidetta Scuola di New York. La sua prima personale è del 1933, la sua pittura mostra prima un'inclinazione verso l'astrazione poi viene attratta dal surrealismo e dal primitivismo. Nel 1935 fu uno dei fondatori del gruppo The Ten, rivolto soprattutto a ricerche nell'ambito dell'astrazione e dell'espressionismo. Il suo lavoro diventa autonomo e personalissimo a partire dagli anni quaranta, caratterizzato da grandi superfici rettangolari e orizzontali di colore i cui contorni sfumano in una sorta di luminosità abbacinante.Il suo lavoro si concentrò sulle emozioni di base, spesso riempendo grandi tele di canapa con pochi colori intensi e solo piccoli dettagli immediatamente comprensibili, la sua pittura a grandi campiture di colore sfumato rappresenta l'acme dell'astrazione intesa come possibilità di contemplazione e metafora di trascendenza.Tutte le sue opere sono caratterizzate da titoli che semplicemente elencano colori presenti sulla tela. Dopo una lunga lotta contro la depressione, il 25 febbraio 1970 Mark Rothko si suicidò tagliandosi le vene nel suo studio di New York.
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Luminosi rettangoli colorati: Mark Rothko


Mark Rothko - No. 3 - (1949)
Oil on canvas - 85 1/4 inches by 64 1/2 inches
The Museum of Modern Art, New York,
Bequest of Mrs. Mark Rothko through the Mark Rothko Foundation, Inc., 1981
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Haruki Murakami


Lui dice che noi non siamo qui per correggere le nostre alterazioni ma per imparare a convivere con esse. E che uno dei nostri problemi principali è di riconoscere queste alterazioni e accettarle.
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da Norwegian Wood di Haruki Murakami
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this is the end


Kung Fu


L’osservazione degli animali nel combattimento è all’origine delle numerose posizioni della Boxe Cinese. Gli animali che si ritrovano negli stili di Kung Fu sono:
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il leopardo, simboleggia la velocità e la forza muscolare;
la tigre, simboleggia la potenza e la determinazione;
l’orso, simboleggia il coraggio;
il cervo, simboleggia la dirittura e l’agilità;
l’airone, simboleggia l’equilibrio;
il drago, simboleggia la vivacità, la concentrazione e la spiritualità;
la scimmia, simboleggia l’astuzia e la scaltrezza;
il serpente, simboleggia l’energia interna, la volontà.
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guerrilla art: Banksy


Abe Lincoln
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Marina Cvetaeva


Marina Cvetaeva, grande e sfortunata poetessa russa, nacque a Mosca l'8 ottobre 1892.
Cominciò a scrivere versi a sei anni, e pubblicò la sua prima raccolta di poesia "Album serale" nel 1910 a soli 18 anni.
Dopo gli studi ginnasiali Marina andò da sola a Parigi per frequentare le lezioni di letteratura francese alla Sorbona.
Giovanissima, a soli 17 anni incontra Sergej Efron che ha solo un anno più di lei e i due si sposano mentre lui è ancora all'Accademia Militare.
Dotata di un carattere forte, indipendente e straordinariamente romantica, la giovane poetessa si taglia i capelli a zero, fuma, viaggia da sola e vive delle storie d'amore. La primogenita degli Efron, Ariadna (Alja), nasce il 18 settembre 1912, Marina continua a scrivere ed a pubblicare versi, con accoglienze contrastanti da parte delle critica.
Durante la rivoluzione di Febbraio del 1917 la Cvetaeva si trova a Mosca, la seconda figlia, Irina, nasce in aprile e Marina Cvetaeva è testimone della rivoluzione bolscevica di ottobre. A causa della guerra civile ella si trova separata dal marito, che si era unito, da ufficiale, ai bianchi. A soli venticinque anni, Marina rimane sola con due figlie in una Mosca in preda ad una carestia terribile. La poetessa che appartiene ad una classe sociale che non ha mai lavorato, sprovvista di senso pratico, non riesce a conservare il posto di lavoro che le avevano benevolmente procurato. Durante l'inverno 1919-20 si trova costretta a lasciare la figlia più piccola, Irina, in un orfanotrofio, e la bambina muore nel febbraio per denutrizione.
Quando la guerra civile finisce, la Cvetaeva riesce finalmente a entrare in contatto con il marito e nel maggio del 1922 emigra a Praga passando per Berlino.
A Praga Marina Cvetaeva si riunì al marito e ha il terzo figlio "Mur".
Nei primi anni del periodo dell'emigrazione la poetessa aveva preso parte attivamente alla vita culturale russa. Veniva pubblicata spesso e i suoi modesti onorari erano un sostegno essenziale per la famiglia. Elena Izvol'skaja così ricorda la Cvetaeva nei suoi primi anni a Parigi: "La mia Marina: quella che lavorava, e scriveva, e raccoglieva la legna, e nutriva la famiglia con le briciole. Lavava per terra, faceva il bucato, cuciva con le sue dita esili una volta, adesso ingrossate dal lavoro. Ricordo bene quelle dita, ingiallite dal fumo, reggevano la teiera, la casseruola, la padella, la gavetta, il ferro da stiro, infilavano il filo nella cruna, accendevano la stufa. Eppure, quelle stesse dita guidavano la penna o la matita sulla carta, sul tavolo della cucina dal quale tutto era stato tolto in fretta. Seduta al quel tavolo, Marina scriveva, - versi, prosa, buttava giù le brutte copie di interi poemi, talvolta tracciava due, tre parole, una sola rima, e molte, molte volte la ricopiava." Ma poco per volta l'atmofera intorno al lei cambiò: il marito Sergej Efron era passato apertamente dalla parte dei Soviet e, rimpatriato, prese parte attivamente alla vita politica, convincendo anche la figlia a seguirlo.
Marina si trovava completamente isolata nell'ambiente dell'emigrazione e all'inizio degli anni '30, fu costretta a trasferirsi in una casa meno cara dove non poteva scrivere versi, perché bisognava lavorare alla più "remunerativa" prosa.
Quando Pasternak venne a Parigi nel 1935 (nel corso degli anni venti si erano scritti frequentemente e si erano dedicati reciprocamente dei poemi), lei gli chiese se fosse prudente per lei tornare in Russia, come chiedeva il figlio per riunirsi al marito.
La Cvetaeva ripeteva spesso di non voler tornare, le lettere provenienti dalla Russia erano delle eloquenti testimonianze sulla vita da quelle parti. Ma rileggendo la promessa fatta ad Efron nel 1917, - "Vi seguirò dovunque, come un cagnolino", - ella annotò a margine: "Ed ora lo sto seguendo - come un cagnolino (21 anni dopo)", e scrisse la data, quella del 17 giugno 1938. Nel giugno del '39 si imbarcò a Le Havre per la Russia, dopo avere minuziosamente riordinato e affidato i manoscritti a persone di fiducia, chiaramente rendendosi conto di ciò che le poteva succedere, ma anche conservando la convinzione che i suoi lavori non sarebbero stati dimenticati. Ma la Cvetaeva non conosceva il peggio: Efron aveva cominciato a collaborare con la GPU partecipando addirittura ad un omicidio.Quello che la Cvetaeva aveva dovuto soffrire in Francia, sembrò presto una sciocchezza al confronto di ciò che la aspettava in Unione Sovietica.
Nonostante alcuni vecchi amici e colleghi scrittori la vennero a salutare, ad esempio Krucenich, ella capì in fretta che per lei in Russia non c'era posto. Le furono procurati dei lavori di traduzione, ma dove abitare e cosa mangiare restava un problema. Gli altri la sfuggivano. Tutto sommato, lei era una ex emigrata, una "bianca", aveva vissuto all'Ovest - e questo, dopo le epurazioni ed il terrore di massa degli anni trenta. Nell'agosto del 1939 sua figlia venne arrestata e deportata nei gulag. Ancora prima era stata presa la sorella. Quindi venne arrestato e fucilato Efron - un nemico del popolo, ma soprattutto, uno che sapeva troppo.
La Cvetaeva cercò' aiuto tra i letterati. Quando si rivolse a Fadeev, l'onnipotente capo dell'Unione degli scrittori, egli disse alla "compagna Cvetaeva" che a Mosca non c'era posto per lei, e la spedì a Golicyno (venne fucilato quindici anni dopo).
Nel settembre del 1940 ella scrisse sul quaderno di appunti che...
"già da un anno cerco con gli occhi un gancio... Da un anno misuro la morte. Tutto è mostruoso e terribile. Ingoiare pasticche è disgustoso, buttarsi da una finestra è abominevole e ho un'innata ripugnanza per l'acqua. Non voglio spaventare nessuno (da morta), mi sembra di aver già paura - da morta - di me stessa.
Non voglio morire. Voglio - non essere. Assurdo. Finché sarò necessaria... ma, Dio mio, come sono piccola, quanto poco posso fare! Vivere fino in fondo - è come masticare fino in fondo. Assenzio amaro."
Quando l'estate successiva cominciò l'invasione tedesca, la Cvetaeva venne evacuata ad Elabuga, nella repubblica autonoma di Tataria. Ella si sentiva completamente abbandonata. I vicini l'aiutavano a mettere insieme le razioni alimentari.
Dopo qualche giorno ella si recò nella città vicina di Cistopol', dove vivevano altri letterati; una volta lì, chiese ad alcuni scrittori famosi - Fedin e Aseev - di aiutarla a trovare lavoro e a trasferirsi da Elabuga. Non avendo ricevuto da loro alcun aiuto, tornò a Elabuga disperata. Mur si lamentava della vita che conducevano, pretendeva un abito nuovo. Il denaro che avevano bastava appena per due pagnotte.
La domenica 31 agosto del 1941, rimasta da sola a casa, la Cvetaeva salì su una sedia, rigirò una corda attorno ad una trave e si impiccò.
Lasciò un biglietto, scomparso adesso negli archivi della milizia. Nessuno andò ai suoi funerali, svoltisi tre giorni dopo nel cimitero cittadino, e non si conosce il punto preciso dove fu sepolta.
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Marina Ivanovna Cvetaeva


È tempo - è tempo - è tempo
di ridare il biglietto al Creatore.(1)
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Mi rifiuto - di esistere.
Nel bailamme dei non-uomini
mi rifiuto - di vivere.
Coi lupi nelle piazze
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mi rifiuto - di ululare.
Con gli squali delle distese
mi rifiuto di nuotare -
giù - nella corrente delle schiene.
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Non ho bisogno di cavità
auricolari, né di occhi che vedono.
Al tuo mondo dissennato
una sola risposta - il rifiuto.
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(1) "È tempo di ridare il biglietto al Creatore" è una parafrasi delle parole di Ivan Karamazov ne "I fratelli Karamazov" di Dostoevskij.
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ore 12:00 - venerdì pesce


L'aRoma del v3l3no


Mike T. Egan


Mike T. Egan - Blood Red Rain Drops (2008)
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ore 10:00 - coffee break


elogio del pessimismo e del vissuto depressivo?


Penso che le persone siano costantemente bombardate da concetti che falsano irrimediabilmente il corso della loro vita, idealizzando miti in cui tutto dovrebbe durare: la giovinezza e così arrivano alla chirugia plastica, alle creme... ai miracoli, il rapporto con il compagno/a e così arriva il contratto del matrimonio o della convivenza con la falsa idea del non-impegno, la sicurezza economica e così si cerca un posto fisso di lavoro o dall'altra parte le ansie e le nevrosi dell'imprenditore, la sicurezza dei beni utilizzati ed ecco che vengono propagandati oggetti venduti come sempre più idonei e indispensabili nella loro efficienza e garanzia, avendo però in sé l'obsolescenza e la senescenza finemente programmate e così abilmente celate dal messaggio pubblicitario.
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Tutto questo appartiene a quell'universo di pressioni che racconta la sempre più emergente schizofrenia di questo mondo, mentre pensandoci bene l'unica certezza dal momento in cui emettiamo il primo vagito riguarda il fatto che quel vagito, prima o poi, terminerà. La morte è inevitabilmente inscritta nella vita, la fine nell'inizio, il termine nella durata.
A questo punto se mi trovassi a parlare con persone fisiche i più mi direbbero di farla finirla con questi discorsi e che il sole splende, la vita è bella o che non è il caso di dire certe cose, e così tutto tenderebbe a venire sdrammatizzato nello scherzo e nella battuta di spirito.
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Ma non ci siamo proprio, nulla di tutto questo è a mio modo di vedere più distante dalla vita! Nulla è più distante dalla vita, del continuo cercare di affermare, in modo più o meno consapevole, la negazione della morte.
La morte in questo discorso assume un valore che va ben oltre il senso biologico della morte fisica o del decadimento del corpo, per intenderci e allude al perenne mutamento e alla continua trasformazione, al cessare di un certo modo di essere per darne luogo ad un altro. Questa è la vita, un continuo divenire di tante ed infinite piccole morti. Morte che in tal modo acquista tutto il suo valore contrario nel riempire di senso la vita, altrimenti svuotata e inaridita dall'inutile gioco di atteggiamenti che vogliono solo compiacersi nell'analisi del proprio io, del voler appropriarsi di uno stato, di un bene, di un dominio dell'essere, nel tentativo di produrlo e mantenerlo all'infinito o, per lo meno, quanto più a lungo è possibile.
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Amy Botello


Amy Botello


Amy Botello


Albrecht Dürer - The Incredulity of St Thomas


Albrecht Dürer - The Incredulity of St Thomas (1511)
British Museum, London
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Caravaggio - Incredulità di San Tommaso


Michelangelo Merisi da Caravaggio
Incredulità di San Tommaso (1600-1601)
Olio su tela - 107 cm × 146 cm - Potsdam, Bildergalerie
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Per immaginare l'effetto che fece il San Tommaso di Caravaggio nella Roma di quattrocento anni fa, basta una cifra: di quel suo quadro si contano 24 copie realizzate negli anni successivi. Quasi un record, che assume ancor più valore se si pensa che tra quei copisti vanno annoverati anche Rubens e Guercino.
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Ma che cosa aveva quel quadro da colpire in questo modo chiunque lo guardasse? A Roma in quei mesi si parlava molto di Caravaggio, di questo strano lombardo, geniale e losco («un misto di grano e di pula» lo definì un pittore olandese a Roma in quei tempi), che aveva sovvertito con una naturalezza sconcertante tutte le regole della pittura. Nel 1599 erano state scoperte le tele della cappella Contarelli di San Luigi dei Francesi. Nel 1601 era stata la volta delle due tele per la cappella Cerasi a Santa Maria del Popolo. Tutti lo cercavano, tutti volevano sue opere. Anche il cardinale Federico Borromeo, amico dei Giustiniani, si era portato a Milano la celebre Canestra di frutta, oggi conservata all'Ambrosiana.
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Quindi davanti all'Incredulità di san Tommaso c'era da aspettarsi qualche sorpresa da parte del Caravaggio. In realtà, al primo sguardo, la tela appariva di una semplicità assoluta e di una perfezione compositiva inattaccabile: quattro personaggi, le cui teste formano un rombo perfetto al centro della composizione; un asse orizzontale costituito dal braccio dell' apostolo incredulo e dalle mani di Gesù; un asse verticale che passa per la testa dei due apostoli al centro. Infine, le schiene dell'apostolo di destra e quella di Gesù formano un arco che sigilla il quadro dentro la più classica e sapiente delle costruzioni. Anche il più pedante dei maestri d' Accademia non avrebbe trovato proprio nulla da eccepire.
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Caravaggio poi toglie ogni enfasi al racconto. Il fondo è bruno e spoglio che più spoglio non si può. La luce che entra da sinistra è così normale che proprio non vien da attribuirle nessuna valenza simbolica. Che cosa c'è allora di così insolito in quel quadro? Il primo fattore è un fattore impercettibile. Caravaggio, rispetto a tutta la tradizionale iconografia sul tema, è come se ricorresse a uno zoom. I protagonisti non sono più inquadrati a distanza nella sala, teatro dell'episodio. Sono a portata immediata di sguardo, anzi di mano. Per di più sono ad altezza dell' osservatore, per cui, chiunque sia di fronte a quella tela, diventa il quinto personaggio della scena: anche lui si trova a chinare lo sguardo, incredulo e stupito, sul centro dell'evento.
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Il secondo fattore che Caravaggio introduce è invece ben visibile. È la mano di Gesù che prende quella di Tommaso e la guida verso la ferita.
Iconograficamente non è una novità, perché già Dürer in una sua famosa incisione aveva rappresentato così l'episodio, andando quasi al di là del racconto evangelico. Ma in Dürer quel gesto si perdeva nella miriade di particolari. Qui invece è proprio il centro della scena: Caravaggio ha una percezione così reale del fatto da immaginare che l'invito verbale di Gesù a Tommaso avesse un suo naturale sviluppo in quel gesto così pieno di tenerezza. Del resto è un gesto che scoperchia il carattere di Tommaso, spaccone e inquieto dietro le quinte, timido e quasi indietreggiante sulla scena. Incoraggiato da Gesù, che gli ha letto nel cuore, Tommaso può liberare la sua curiosità. Così il dito non si limita a sfiorare la ferita, ma vi entra dentro come a voler fugare davvero ogni ombra di dubbio. E lo sguardo sgranato e teso, sotto la fronte aggrottata, segue il dito, come se l'apostolo avesse calcolato, in quel momento, che il riscontro di due sensi è meglio di uno.
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Eccoci così arrivati al fulcro del quadro, al particolare su cui Caravaggio fa convergere tutti gli altri, occhio dello spettatore compreso. Il dito di Tommaso tocca un uomo vivo, s'addentra nella carne viva: la semplicità geniale di Caravaggio spazza via, quasi con brutalità, ogni connotato visionario dalla scena. Racconta ancora una volta «l'accaduto, nient'altro che l'accaduto», come avrebbe scritto nel 1951 Roberto Longhi. E la conferma viene dagli altri due apostoli. Quello al centro è lo stesso modello usato nella Crocefissione di san Pietro e come Nicodemo nella Deposizione della Vaticana. Non hanno avuto la sfrontatezza di Tommaso, ma si vede benissimo dai rispettivi sguardi che il dubbio era attecchito anche nel loro cuore:
Gesù era risorto davvero con il suo corpo o quello che avevano davanti era un fantasma? Così i loro occhi fremono nell'attesa: altro che preoccuparsi di rimproverare Tommaso per la sua incredulità...
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Caravaggio, insomma, indovina tutte le dinamiche umane della scena. Non lascia scampo a ipotesi alternative, e declina il suo quadro al tempo presente. Come infatti gli era accaduto nella Vocazione di Matteo, veste i protagonisti della vicenda con abiti contemporanei alla sua epoca, mentre lascia Cristo con un mantello. È un corto circuito quasi impercettibile che gli serve per dare una verità ancora più diretta e comprensibile all' episodio raccontato: l'episodio accadde quel giorno di tanti secoli prima in Palestina, ma proprio perché realmente accaduto può essere riscontrabile, toccabile con mano, anche oggi, e in qualunque altro tempo.
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con la mamma nel freezer dal 1980


E' un medico la donna che ha nascosto il cadavere della mamma in un congelatore per 29 anni. La Dr.ssa Parvis Irani credeva che l’anziana madre, Gulbai Murzan, fosse un’immigrata clandestina quando è morta in una cittadina del Kent, Inghilterra, nel 1980. Per evitare guai con le autorità, lei e una sorella hanno avvolto la vecchia in plastica e l’hanno infilata nel freezer. E’ poi emerso che era invece perfettamente in regola, ma a quel punto c’era l’imbarazzo del corpo surgelato… Così, ridendo e scherzando, si è arrivati al 2009. Con il recente decesso della Dr.ssa Irani, l’avvocato di famiglia è venuto a conoscenza del fatto e ha informato la polizia. Superato il ritardo dovuto all’attesa per lo scongelamento, l’autopsia ha confermato la morte per cause naturali della vecchia e la storia è finita. (Fonte)
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