giovedì 1 aprile 2010

Le 10 "macchie" del test di Rorschach (n.1)


Lo psichiatra svizzero Hermann Rorschach arrivò probabilmente all’intuizione di usare le macchie di inchiostro dopo aver letto una strana opera, il Kleksographien, pubblicata nel 1857 dal medico Justinus Kerner, in cui delle macchie casuali erano commentate ciascuna con una poesia.
Utilizzando anch'egli delle macchie di inchiostro gli capitò di constatare, con i suoi pazienti, che alcune caratteristiche delle risposte erano associate stabilmente con sindromi psichiatriche.
Elaborò dunque alcuni criteri di analisi delle risposte che pubblicò in un volume dal titolo Psychodiagnostik nel 1921. L’anno seguente morì a 38 anni senza lasciare altri contributi oltre al volume.
Gli stimoli usati da Rorschach erano “forme accidentali ottenute facendo cadere poche gocce di inchiostro su un foglio di carta e ripiegandolo in modo da ottenere una figura approssimativamente simmetrica".
Fra le numerose forme accidentali ottenute e sperimentate ne scelse dieci per formare l’edizione standard del test. I criteri di selezione privilegiarono le macchie suggestive , che suscitavano numerose risposte, quelle di media complessità e quelle simmetriche.
La somministrazione consisteva nel presentare il test come una prova di immaginazione e nel chiedere al soggetto :”cosa potrebbe essere questo?”
Le risposte andavano annotate con estrema fedeltà. Rorschach raccomandava di annotare non solo le risposte del soggetto, ma anche “per quanto possibile, le sue espressioni mimiche, i movimenti volontari e involontari, i segni di eventuali “choc-colore”.
Lo choc colore è una reazione di stupore, di sconcerto o comunque emotivamente negativa connessa con la presenza nella macchia di un colore cromatico.
Esaurite le dieci macchie bisognava passare all’inchiesta, allo scopo di accertare quali erano le caratteristiche dello stimolo che avevano indotto il soggetto a dare le risposte che aveva dato.
Le risposte venivano integralmente trascritte su un foglio detto protocollo per essere poi “siglate” (codificate). Dopo aver completato la siglatura veniva annotata la frequenza dei vari tipi di sigla e si calcolavano alcuni rapporti tra frequenze.
Il nucleo più consistente dei criteri di codifica proposti da Rorschach riguardava le caratteristiche formali delle risposte.
Le categorie originariamente proposte per la codifica erano:
1. I fattori determinanti la risposta (forma, impressione di movimento, colore?)
2. I modi di comprensione , ossia la localizzazione, nell’ambito della macchia del contenuto menzionato nella risposta. La distinzione fondamentale era tra interpretazioni globali riferite all’intera macchia e risposte di dettaglio (piccolo dettaglio, forme intramaculari cioè riferite a spazi bianchi, piccoli dettagli oligofrenici?)
3. I contenuti delle interpretazioni (animali, corpo umano, oggetti inanimati?)
4. L’originalità delle risposte distinguendo fra risposte originali positive o negative a seconda della qualità del contributo emotivo allegato.
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Sul protocollo andavano annotati anche: il numero delle risposte, i tempi di reazione, i rifiuti. In sede di analisi si doveva far attenzione alla frequenza dei modi di comprensione , alla successione di questi modi e al rapporto tra risposte colore e risposte movimento indicato con le sigle TRI- (Tipo di risonanza intima) o TVI (tipo di vita interiore).
Il tipo caratterizzato da prevalenza di risposte–movimento era definito introvertito, il tipo caratterizzato da prevalenza di risposte-colore era definito extratensivo, il tipo che non dà né l’una né l’altra tipologia di risposte era definito coartato.
Rorschach dedicava anche molto spazio alla valutazione qualitativa dell’intelligenza che analizzava varie componenti: capacità di attenzione assidua e attiva, chiarezza della percezione e dei processi associativi, facilità del flusso di associazioni eccetera.
Fin qui la storia.
In seguito sono stati proposti diversi sistemi di classificazione ed analisi da parte di diversi autori, ma le oltre 5000 ricerche effettuate per testare la validità e l’attendibilità del reattivo hanno posto seri dubbi sulla scientificità del Rorschach.
Non si è riusciti a ricondurlo a nosografie o teorie della personalità univoche, non ha mostrato salde predittività rispetto alle diagnosi psichiatriche o a valutazioni dell’esito di psicoterapie, non ha rivelato una solidità transculturale o di genere o di età, operatori diversi, pur avendo avuto lo stesso addestramento, giungono spesso a interpretazioni disparate.
Allo stato attuale l’utilizzo del reattivo di Rorschach per la diagnosi psichiatrica non appare giustificato. Può essere utilizzato come tecnica di sussidio nell’ambito dell’intervista psicologica, assieme ad altri strumenti, tenendo sempre presente che i fattori intuitivi e interpretativi dello psicologo giocheranno un ruolo fondamentale.
Come tra l’altro accade già normalmente nei casi e nei momenti in cui lo psicologo mette da parte la psicometria e accetta di utilizzare le proprie risorse interne di intuizione e analisi per mettere insieme i pezzi dell’esperienza altrui.
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Per approfondire: (1) (2)
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