
Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie
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Coro di morti nello studio di Federico Ruysch
Sola nel mondo eterna, a cui si volve
Ogni creata cosa,
In te, morte, si posa
Nostra ignuda natura;
Lieta no, ma sicura
Dall'antico dolor. Profonda notte
Nella confusa mente
Il pensier grave oscura;
Alla speme, al desio, l'arido spirto
Lena mancar si sente:
Così d'affanno e di temenza è sciolto,
E l'età vote e lente
Senza tedio consuma.
Vivemmo: e qual di paurosa larva,
E di sudato sogno,
A lattante fanciullo erra nell'alma
Confusa ricordanza:
Tal memoria n'avanza
Del viver nostro: ma da tema è lunge
Il rimembrar. Che fummo?
Che fu quel punto acerbo
Che di vita ebbe nome?
Cosa arcana e stupenda
Oggi è la vita al pensier nostro, e tale
Qual de' vivi al pensiero
L'ignota morte appar. Come da morte
Vivendo rifuggia, così rifugge
Dalla fiamma vitale
Nostra ignuda natura;
Lieta no ma sicura,
Però ch'esser beato
Nega ai mortali e nega a' morti il fato.
.Federico Ruysch (l638-l73l), medico e anatomista olandese, scoprí un metodo per preservare dalla putrefazione i cadaveri. La canzone che segue costituisce l’inizio del Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie: lo scienziato, sentendo i propri morti cantare, entra nello studio e comincia a interrogarli.
Il canto si apre con l’affermazione della certezza e della naturalità della morte e con la descrizione della condizione degli uomini dopo la morte. Il discorso è in forma impersonale e potrebbe essere pronunciato da qualunque mortale. Poi, improvvisa, la rivelazione: sono i morti a parlare (“Vivemmo”). Quella di “far parlare i morti” non è certo una invenzione di Leopardi (si pensi solamente a Dante), ma qui è originale il rapporto che è proposto fra morte e vita: non c’è rimpianto per la vita che non è piú e di essa non si ha che un pallidissimo ricordo; la vita è per i morti ciò che la morte è per i vivi: “cosa arcana e stupenda”. In questo rovesciamento i morti “rifuggono” la vita come i vivi la morte. Non si tratta di un rovesciamento simmetrico, come quello delle immagini speculari, ma piuttosto come quello fra negativo e stampa nella fotografia: il nero al posto del bianco, il pieno al posto del vuoto. La vita e la morte sono entrambe reali, ma inconciliabili. Il realismo leopardiano attribuisce un vantaggio alla morte: rispetto alla vita essa è “certa”. Ma non si pensi – conclude Leopardi per bocca delle mummie – che la morte sia il raggiungimento di qualche felicità: l’“esser beato” è negato, in ugual misura, ai vivi e ai morti.
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